(((Under)))stand the rage

I think it was a coincidence, thes videos take time to be made and they were written long before last week happened.

But just look at this video if you doubt the current riots in Minneapolis in response to the latest police murder of black people as “not the right thing to do”. This is how people work when they’re left under the plate of Midgar, how they fight back violently from under the iron talon in which they found spaces of happiness, while being constantly aware of their struggle. Is violence the answer? Of course it isn’t. But doesn’t violence call for violence?

In Jacob’s depiction of Midgar you see that. I, for myself, saw my friends shooting a funny video from the top of a demolished house in Palestine, I remember how we joined a manifestation with puppets and funny signs we’ve built. I remember when people laughed after the manifestation, looking at how the sign with the peace symbol on it got a bullet hole. I remember the look of fear when we couldn’t find our friend in the midst of a literal rain of tear gas canisters. “Could you imagine? Being poor?” Could you imagine? Being poor and angry?

I hope you all get to see that, one day. Because that experience taught me something important. While I still preach for non-violence, and hope and think every day of better solutions, I understand the anger, I understand the rage.

Concatenare due fatti: ISIS, curdi, Siria, profughi

Colleghiamo un secondo i puntini.
In Siria, la parte curda non riconosciuta come nazione del Rojava, un esercito completamente fatto di donne e con mezzi molto minori del nemico, combatteva l’ISIS, con un supporto aereo americano da loro identificato come blando. Poi entrò in scena la Turchia, che ai curdi non vuole bene da sempre, e infatti le associazioni denunciano che l’esercito turco non stia supportando i combattenti siriani curdi, ma stia aiutando l’ISIS a eliminarli.
L’Europa manda aiuti, ma politicamente non muove un dito. Si richiede ancora oggi l’apertura di un corridoio umanitario per fare arrivare aiuti nella zona di Kobane, Siria del Nord. Ma a Nord c’è la Turchia e niente corridoio, aiuti pochi e scarsi.
Oggi, profughi siriani in massa affollano l’Europa, nel panico amministrativo e umanitario.

Che cosa impariamo con questo?
1) Non affrontare un problema delle proporzioni dell’ISIS tende a creare problemi più grossi.
2) Il prossimo che dice “aiutiamoli a casa loro” deve decisamente chiudere quella fogna.
3) Guarda un po’, anche nel ventunesimo secolo è possibile risalire a una causa religiosa per la più grossa strage dell’epoca storica.

Ricordare ogni manifestazione

Mi spiace.

Ero su un treno per Venezia mentre vengo a sapere di che cosa è successo alla manifestazione No Expo. Fiamme e distruzione.
E me ne sorprendo, prima di ogni altra cosa. Perché diavolo dovrebbe essere successo? Le ragioni della manifestazione non sono mai state violente. Tutto il materiale prodotto finora era volto ad aumentare la consapevolezza sul danno che l’opera provoca, ha provocato e provocherà a tutti i livelli.
Che senso avrebbe poi, organizzare una manifestazione lontano dall’Expo, se le intenzioni fossero state distruttive dall’inizio, se gli organizzatori di No Expo avessero voluto portare violenza, avrebbero manifestato agli ingressi della fiera, il più vicino possibile. Supponendo che si fosse voluto muovere una guerra, non c’era strategia logica che potesse partire da Porta Venezia ed arrivare a Rho Fiera.
Provo a vederla nel modo in cui la vedevo io. Ricordo che l’idea era di muovere la grande manifestazione per incoraggiare il boicottaggio del grande evento. L’idea di far sapere al mondo che l’Expo italiana era un falso evento, che la città non era stata preparata, i padiglioni non sono finiti, che il metodo di lavoro impiegato è lo sfruttamento dei lavoratori, specie se giovani, che tutti i principi che finge di propugnare sono ribaltati in nome del profitto delle industrie, che l’inquinamento in quell’area è letteralmente visibile. Rifiutare l’Expo voleva dire mantenere le persone lontane da una nebbia nera, quella reale dell’inquinamento e quella metaforica della mafiosità che ha gestito tutto.

Io, nel mio piccolo, non sono riuscito a convincere nemmeno mia madre.
“Ci vado a settembre, quando magari ne avranno finito di più. Quando mi ricapita di vedere l’Esposizione Universale?”. E nulla l’ha distolta da quell’idea.
Chi ha organizzato l’Expo sapeva bene di questa differenza di vedute generazionale, e infatti ha invitato Bocelli per fare il concerto inaugurativo.
Prima dell’Expo, mi divertivo ad immaginare chi avrebbero chiamato, il primo maggio, a suonare, e come quell’artista avrebbe istantaneamente perso credibilità presso il grande pubblico della musica leggera più rapidamente di Jovanotti che si complimenta con Salvini. E Bocelli è in effetti perfetto per l’Expo: ha un pubblico vasto, ma non giovanile, sufficientemente distaccato dalla realtà quotidiana di milioni di italiani. È famoso, ma non è detto che lo sia per meriti artistici (chi è in grado di citare altri dieci tenori italiani viventi e classificarli può dire la sua). E infine, cosa più importante, la sua cecità è perfetta per le mie metafore di “ricchi stronzi che non vedono più in là del proprio naso”.

Perciò ero fiducioso che la manifestazione No Expo potesse essere l’inizio di qualcosa, una manifestazione che cercasse di promuovere valori che condivido e identificare le storture di questo sistema asociale.
Mi ero completamente dimenticato che ogni manifestazione socialmente rilevante, e da chissà quanto tempo, è sempre degenerata in violenze, screditando completamente il movimento tutto agli occhi del “grande pubblico”, se vogliamo chiamare così quella grande massa di italiani male o per nulla informati.
Mi ero dimenticato che l’accusa che verte sui grandi movimenti contro le grandi opere è quella di terrorismo, il termine-jolly utilizzato per deumanizzare i nemici del governo in carica.
Mi ero dimenticato che, per evitare la strumentalizzazione politica, questi movimenti basano la loro esistenza sull’anonimato, impedendo di fatto la creazione di comunità identificabili da chi non è abituato a società prive di grandi personalità (il “grande pubblico” vive di questo).
Sono stato stupido a dimenticare. Per questo mi spiace.

Mi spiace che sia stato Marco Travaglio a ricordarmi che esistono i black bloc, questa… non si sa bene cosa sia. Infiltrati nelle manifestazioni, che incitano alla violenza, in particolare contro le banche. Ha perfettamente senso pensare che siano pagati da chi ha interesse a screditare i movimenti. Il che darebbe tutto un senso diverso alla questione: una manifestazione organizzata con sentimenti pacifici sarebbe finita in rivolta grazie ad infiltrati dalla parte opposta, mercenari che hanno fatto il loro lavoro per guidare l’opinione pubblica nella direzione del mantenimento dello status quo.
Io sono stato stupido a dimenticare, dicevo. E Travaglio è stato almeno altrettanto stupido a ricordarselo il 2 Maggio. Se un solo idiota si fosse ricordato dell’esistenza dei Black Bloc, forse la manifestazione sarebbe andata diversamente, e ora non dovremmo costruire una comunità dalle ceneri.

La cattiva informazione: parliamo del TTIP

Quella che doveva essere un’introduzione a questo post è diventato un post a sé stante.

Ora parliamo di cattiva informazione con un esempio estremamente preciso. Questo.

Ora vi mostrerò i primi segnali di cattiva informazione senza nemmeno fare partire il video. Basta leggere la descrizione.

1: “Il TTIP è un accordo RISERVATISSIMO”. Un accordo riservatissimo con un infografica su facebook, facilmente rintracciabile sul sito della Commissione Europea a questo indirizzo. Non è segreto per niente. Dite che i giornali non ne parlano? Allora è vostro diritto parlarne, chiunque voi siate, se volete discuterne. Ma faccio notare che sul sito c’è il tasto “have your say” se si vogliono lasciare commenti direttamente alla commissione. Molto, molto diverso da “accordo riservatissimo”.

2: “l’accordo vuole rimuovere […] i diritti dei lavoratori e i regolamenti che difendono ambiente, salute e privacy.” Questa frase contiene l’olio di serpente favorito dai gentisti. “Attenzione! Vi stanno togliendo i diritti! Preparate i forconi!”. Di per sé non dice niente di sbagliato, ma è un ottimo specchietto per le allodole. Tenetelo a mente, mentre ci addentriamo nell’analisi.

Facciamo prima il passo indietro necessario, per quelli che di voi non hanno visto il link qui sopra. il TTIP è il Transatlantic Trade and Investment Partnership, un accordo commerciale in fase di definizione fra l’Unione Europea e gli Stati Uniti, volto ad abolire i dazi doganali ed uniformare i regolamenti. Il tutto tenendo a mente che tutti gli standard di qualità e di sicurezza già in essere all’interno delle regole dell’UE si mantengano al loro livello attuale. Il sito offre una quantità di informazioni in merito e soprattutto un comodo documento divulgativo sui “Top 10 Myths“, le dieci bufale più diffuse.

Indovinate un po’? Tutti i punti del video si basano su queste bufale. Perciò non mi devo nemmeno dilungare più di tanto, se non riportare le dichiarazioni della Commissione Europea:

– In nessun momento questa parte dell’accordo vuole diminuire gli standard di qualità e sicurezza già esistenti in Europa. Anzi, vuole che il sistema statunitense e quello europeo armonizzino i controlli che hanno gli stessi standard qualitativi, ma differenti procedimenti, per facilitare l’esportazione di merce europea negli Stati Uniti.
– Il processo è estremamante democratico, le nazioni UE hanno potere in merito direttamente, e come detto, anche il singolo cittadino può intervenire se ritiene necessario aggiungere la sua voce al coro. E ciò non è minimamente eccezionale, visto che i principi cardine dell’europeismo sono quelli più o meno da sempre.

Quindi, alla domanda “cosa c’è di buono nel TTIP?” che ha fatto partire la mia ricerca, ho una serie di risposte che sono già fornite dalla commissione, ma mi sforzerò di inventarmene una mia.

Il TTIP è un accordo che cerca di eliminare dogane, chiunque abbia ascoltato John Lennon una volta nella propria vita dovrebbe sapere che ogni pacifica rimozione di confini nel mondo è un passo in avanti verso un mondo pacifico. E questo patto fa esattamente quello. Abbatte confini per migliorare la vita di tutti.

Leggi anche: The case for open borders

Perché la Francia fa più rumore della Nigeria: cose evidenti e conseguenze

Non ricordo nessun baluardo della storia Nigeriana nella libertà di espressione, anche perché la storia della Nigeria non mi è stata insegnata a scuola.
Quindi sì, sono più scioccato dai Kalashnikov in Francia (Paese che associo a libertà di pensiero e coinquilini stronzi), nella redazione di un giornale, che di una guerra di religione in centrafrica (perché la Nigeria è in centrafrica, giusto?) che va avanti da anni.

Perché lo choc è per definizione una sorpresa.

Vorrei che le persone smettessero di uccidere, va bene, ma mi piacerebbe anche capire perché lo fanno. E la situazione in Nigeria è tutto, tranne chiara. I giornali parlano molto di Boko Haram, ma ricordo perfettamente gli articoli del 2012 che facevano capire come i problemi della Nigeria fossero molto diversi dal semplice terrorismo fondamentalista. Da qualche parte in questo blog avevo anche scritto qualcosa a proposito.

E scandalizzarsi perché “se ne parla di meno” è inutile. Anche se fossimo esperti africanisti, da qui le nostre azioni sono limitate. Con l’adeguata conoscenza sapremmo quali sono le associazioni locali non governative da aiutare direttamente invece di fare gli indignati seduti al computer.

Per una semplice ragione, che sembrerà cruda: la Francia ci riguarda direttamente, la Nigeria lontanamente.

Riformulo. Se noi riuscissimo a trovare una soluzione alle infiltrazioni di cellule terroristiche in Europa e Nordamerica, con le nostre fini menti occidentali, saremmo noi stessi a doverle mettere in pratica.
Ma se avessimo in mente una soluzione per quel particolare conflitto in Africa, tutto quello che possiamo fare è consigliare al popolo di prendere le azioni corrette verso la soluzione.

La differenza fondamentale è che per noi stessi possiamo “fare” qualcosa, mentre, a meno di non tornare su ideologie imperialiste, per l’Africa e l’Asia e l’America Latina, noi possiamo solo “dire” (mutuo soccorso a parte).

E fra il “dire” e il “fare” c’è di mezzo il mare.

“Dov’è il proiettile?” – L’informazione deve essere accessibile, libera e completa.

Quando si faceva propaganda di un esercito, per stimolare il popolo ad entrarvi a far parte, venivano girati dei video in cui si vedevano delle piccole squadriglie, armate fino ai denti, prepararsi ad affrontare il nemico, con il meglio della tecnologia militare addosso a loro. E li si vedeva sparare verso i tre quarti della camera, verso i lati a volte. Mai verso l’osservatore o di fronte, perché non c’era un vero nemico a cui sparare, in quello “spot”.

Così si vedevano militari invincibili sparare colpi verso un nemico invisibile che non risponde nemmeno al fuoco. Propaganda militare pura e semplice.

Mi è venuto in mente quando ho visto l’ultimo video di Alessandro Di Battista, il parlamentare 5 Stelle più famoso. Pubblica un video in cui alza la voce contro la Boldrini, in un intervento di meno di un minuto. Dice che la proposta del suo gruppo di dimezzare il numero dei parlamentari e far votare il senato dai cittadini (un attimo, le proposte sono due o è una?) è stata bocciata e qualcosa che somiglia a “i cittadini sono tutti d’accordo con questa proposta”.

Sì, molto passionale, anche piuttosto violento. Molto poco lucido. E soprattutto, non c’è nessuna indicazione su che cosa sia successo dopo. Esattamente come la propaganda militare, Di Battista ha “sparato” la sua invettiva, ma dimentica di informarci sulla risposta.

Io diffido delle storie incomplete. Se spari, voglio vedere dov’è andato il proiettile, se lanci insulti con tutte le tue ragioni, lo fai per ottenere una risposta dalla persona a cui li lanci. E quindi, come ha reagito? Col silenzio? Con l’ennesimo richiamo al rispetto?

Se vedo solo metà dei contendenti, è propaganda. Se li vedo tutti e due, è informazione. È una buona regola, no?