Caro Fabio,
ti scrivo sempre nei weekend, ché sono l’unico fra i ragazzi che si alza al mattino anche di domenica, e così posso vedere il sole illuminare l’albero davanti al nostro appartamento. E molto meglio oggi, perché è vestito di ghiaccio e circondato di neve. Ebbene sì, il 15 di marzo nevica. Mi ricordo che a inizio del mese Mihai diceva fiducioso “fra due settimane sarà primavera”, sapevo già allora che avrebbe avuto torto, non immaginavo quanto. Il 15 di Marzo è festa nazionale ungherese, in ricordo dell’anniversario di una rivoluzione contro l’invasore austriaco nel 1848, se ho capito bene. Quindi tutti si stavano preparando a un lungo weekend di tre giorni. Preannunciato da un vento tanto freddo da ghiacciare l’acqua per strada, la pioggia è diventata la più grossa nevicata da quando sono arrivato qui. Immagino che chi aveva progetti di partire ne sarà stato visibilmente scontento, per usare un eufemismo.
Io sono rimasto a casa a drogarmi di Chrono Trigger, uno storico gioco di ruolo dei tempi del Super Nintendo, se te lo stessi chiedendo. In generale, sto passando uno dei miei periodi di asocialità felicissima. In questo mese e mezzo ho conosciuto un sacco di persone, di diverse nazionalità, e tutto quello che abbiamo fatto è stato bere e talvolta ballare. Una volta li ho convinti a guardare il Rocky Horror Picture Show, perlomeno, ma ho sentito la mancanza dei concerti dal vivo.
Ti darò notizie sparse: con i soldi di Marzo ho comprato una chitarra. E bella che è, ci ho speso circa 75.000 fiorini, ti ci allego una foto, così capisci perché. Mi ero proposto di prenderla e l’ho fatto, ed ora ogni mattina mi ci metto lì e provo a strimpellare qualche pezzo dei miei Dusty Monkeys o Carolina Drama dei Raconteurs o cerco delle tablature qua e là. Può darsi che incontri qualche altro musicista e faccia su una banda (anche qui si suona di primo maggio). Ma, dovresti saperlo, mi sento molto più sicuro quando devo solo cantare. Mi passerà.
Per qualche giorno sono state a Nyiregyhaza quattro ragazze americane (del Kentucky). Facevano un viaggio in Europa durante lo Spring Break americano e ci siamo usciti ogni sera. Le abbiamo conosciute durante il compleanno di due finlandesi che fanno parte del nostro giro di forestieri in città. Al momento abbiamo quattro portoghesi, due finlandesi (oltre a quelle che erano qui solo per festeggiare il loro compleanno), quattro o cinque lituane e un po’ di ungheresi locali. E ovviamente, noi EVS: un italiano (io), una spagnola (Ana detta Nita), un francese (David), una russa (Anna detta Nichka), due rumeni (Andrei e Mihai) e, ultima arrivata, la palestinese Shaden.
Shaden viene da Nablus e conosce alcuni dei partecipanti allo scambio italo-palestinese You’R Rights, se non tutti, il che è fighissimo. Appena arrivata ha dovuto insistere un po’ per avere qualcosa che somigli a una camera sua, visto che nell’appartamento delle ragazze ci sono solo due camere e lei ha dovuto adattarsi ad una riorganizzazione dello spazio nella sala. Non ho ancora visto cosa si sono inventati , se paraventi o pannelli di legno. Mi toglierò la curiosità più tardi.
Intanto sto ancora affrontando la vita da solo. Nel mio appartamento abitiamo in quattro ma ognuno fa per sé, il che mi lascia nei guai. Affrontare lavatrici, pulizie di casa, ma soprattutto cucinare. Ti ho già scritto che i pasti sono un problema, con gli orari di lavoro che mi trovo. Ma un problema ancora più grande è non saper cucinare. Ho iniziato cucinando un po’ a caso, con risultati fra il bruciacchiato e l’immangiabile, poi ho deciso di pianificare i pasti (con tanto di applicazione sul telefono) e mi sono reso conto di una cosa: non ho la più pallida idea di cosa cucinare. Ho fatto del ragù di soia, una volta, ed era buonissimo, ma per ora a parte pasta e frittate, le mie idee culinarie sono quasi nulle. Mi darò allo studio delle ricette vegetariane su internet quanto prima, per salvare la mia dieta. Poi combatterò per inserire il pranzo nel mio orario di lavoro, e non una mezz’ora in cui vado a comprare dei noodles istantanei e torno in ufficio, ma due ore di preparazione, pranzo, lavaggio piatti e svacco.
Il fatto è che il lavoro è decisamente molto. Scrivere sei pagine a settimana si sta rivelando faticoso, per un “brevista” come me, e sto finendo le mie lezioni sempre qualche ora prima della messa in onda. Per fortuna, gli altri programmi sono tutti improvvisati sul posto e risultano molto più divertenti ed immediati da fare.
L’Italia continua a preoccuparmi. Un po’ il governo che non si forma e Grillo che vuole farsi nominare duce. Ma molto di più la situazione del Teatro Pinelli Occupato. Da quando sono stati sgomberati, gli occupanti hanno ricevuto sanzioni amministrative improponibili e stanno ricorrendo contro il provvedimento. Hanno scritto al prefetto di Messina e invitano altri a fare lo stesso. Se trovi il tempo per scrivere, allora, scrivi anche a lui.
Lo scorso weekend (non ti ho scritto perché) siamo andati in Ucraina. Abbastanza a caso e decisamente aggratis, che va benissimo, date le mie finanze demolite dalla chitarra. (Oh, la mia chitarra vale tranquillamente un mese di miseria.) La prima cosa che vedi sul suolo ucraino è la dogana: un buon chilometro di zona militare con guardie armate che ti chiedono i documenti. Il genere di cose che preferirei non esistessero per favorire la pace nel mondo. Ma sono opinioni. Siamo scesi dal bus per attraversare la dogana a piedi, “è più veloce non avere un veicolo da fargli controllare”. Oltreconfine, viene a riceverci la rappresentante dell’associazione con cui la nostra è in partenariato (va’ a sapere quale o cosa, non parla inglese) con tre taxi. Il mio taxista, prima di risalire in macchina, mostra ad un altro un coltello da cucina nero alto una spanna, probabilmente perché ne aveva bisogno in cucina, niente di losco, ma anche un ottimo benvenuto nella terra che fu russa. Salgo sul posto davanti e mi godo il viaggio. I taxi ucraini sono vecchie macchine, direi primi ’90 al massimo, e le strade sono vecchie e sforacchiate, anche se la guida esperta evita le buche peggiori.
Arriviamo a… ehm, boh. Non so leggere il cirillico. E non so ritrovare la città sulla mappa. Quindi restiamo sul fatto che so in che Stato mi trovo. Arriviamo all’hotel Il Pavone D’oro. Stelle non ne ho viste, ma è chiaramente un hotel di lusso. E noi prendiamo la suite e cinque stanze come se nulla fosse. Scoprirò più tardi che qui le cose costano davvero poco, e quindi possiamo permetterci il lusso locale facilmente. Mangiamo in sala privata con televisore mentre una tenda e una porta a vetri ci separa dalla “plebaglia” che sta preparando un concerto per la serata (è l’8 marzo). Intanto le raccomandazioni: attenti a non andare in giro da soli e non di notte, ché qui è pieno di zingari. Mi sembra di sentire mia nonna.
Facciamo una passeggiata nella festa di paese locale (che è poi il motivo per cui siamo qui, in teoria). Un sacco di vini, molti falsi (acqua e benzina con su scritto Cabernet-Sauvignon non fa un vino buono automaticamente, mi spiace) ma molti buoni, e con un assaggio per stand, torniamo in hotel già sul brillo andante. Anichka è felice di essere in Ucraina, divertita dal fatto di aver dovuto attraversare una dogana e farsi timbrare un passaporto per entrare in un Paese in cui può andare quando le pare da casa senza preoccupazioni. A cena, mi spiega un po’ di situazione locale: l’Est e l’Ovest dell’Ucraina sono divisi fra persone che vogliono staccarsi anche linguisticamente dalla Russia e persone che vogliono mantenerci buoni rapporti. In questa parte di profondo Ovest, può incontrare degli anti-russi che “sarebbero scortesi verso di me”, dice. Avverto il suo senso di appartenenza ad una Nazione Superiore, o quello che è; parla dell’Ucraina come fosse ancora una provincia russa e comunque dall’alto in basso. Posso condividere il suo odio per l’odio verso i russi, chiaramente, un po’ meno il suo nazionalismo.
La sera, abbiamo raccolto molti alcolici e ci chiudiamo nella suite per bere come dei disgraziati. Un grande uomo pelato si è unito a noi, è il fidanzato del nostro contatto/associazione locale, e anche se non parla inglese o altre lingue a noi comprensibili, si fa capire perfettamente quando fa uscire dal suo cellulare le note di Comfortably Numb. E così beviamo tutti insieme, fra la Palinka a cena e il vino dopo cena, ne ho fin sopra il fegato. Insieme ad Anichka cerchiamo di radunare volontari per andare di sotto a ballare, ma non otteniamo risposta. Anzi, David si mette a litigare con me. Mi accorgo in quella sera di non avere molto a che spartire con chi si chiude in una camera d’albergo a bere. Mi ci sono adattato per un mese. Ma quello che mi pace è altro.
E cioé la musica. MUSICA ROCK DAL VIVO. Sento dall’hotel i Nirvana suonati da una band locale e mi ci precipito. Non mi importa più di tutte quelle baracche che offrono vino, della rappresentazione in costume, del mercato locale, delle facce malate, parliamo la stessa lingua fatta di amplificatori. Mi importa molto di quella ragazza che canta e incita a saltare. Non si usa il pogo, in Ucraina. Avranno paura dei disordini. Ma quanto a cantanti hanno delle voci ottime. La prima band locale che sento si chiama Timer, la cantante Marta. Ma non li ho trovati su Internet, anche se sono stati loro stessi a darmi il nome con quelle tre parole d’inglese che avevamo. Ce ne sono altre due, una pessima e una stupefacente, ma a parte una stretta di mano, non ho potuto sapere come si chiamavano. Gran peccato, perché spaccavano.
Come ho potuto constatare anche qui a Nyiregyhàza, la musica è un’espressione culturale che non ha grandi sbocchi locali. L’impressione che mi rimane è che anche qui, le discoteche abbiano spazzato via gran parte dei giovani. O forse vivo solo in una regione un po’ sfigata. Non lo so.
Alla fine mi sto decidendo: suonerò, andrò a concerti, e come al solito me ne sbatterò di chi non vuole fare lo stesso. La scelta asociale forse non è coerente con i principi dello SVE, ma in realtà, io so che troverò dei degni compari anche dove li andrò a cercare. Ho un sacco da imparare, e un sacco di persone da incontrare ovunque andrò, non c’è di che preoccuparsi. Il meglio deve ancora venire.